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giovedì 27 settembre 2012

IL PEDROCCHI E GLI STUDENTI RIBELLI DI PADOVA


Storia del Caffè Pedrocchi.

Tra Settecento e Ottocento il consumo del caffè si è diffuso anche in Italia e si è andata così affermando la tradizione del caffè come circolo borghese e come punto d'incontro aperto, in contrapposizione alla dimensione privata dei salotti nobili. A Padova la presenza aggiuntiva di oltre tremila persone tra studenti, commercianti e militari fece sì che, più che in altri centri cittadini, si sviluppasse questo tipo di attività. In questo contesto, nel 1772 il bergamasco Francesco Pedrocchi apre una fortunata "bottega del caffè" in un punto strategico di Padova, a poca distanza dall'Università, dal Municipio, dai mercati, dal teatro e dalla piazza dei Noli (oggi Piazza Garibaldi), da cui partivano diligenze per le città vicine, e dall'Ufficio delle Poste (oggi sede di una banca). 
Il figlio Antonio, ereditata la fiorente attività paterna nel 1800, dimostra subito capacità imprenditoriali decidendo di investire i guadagni nell'acquisto dei locali contigui al suo e, nel giro di circa 20 anni, si ritrova proprietario dell'intero isolato, un'area pressappoco triangolare delimitata a est dalla via della Garzeria (oggi via VIII Febbraio), a ovest da via della Pescheria Vecchia (oggi vicolo Pedrocchi) e a nord dall'Oratorio di San Giobbe (oggi piazzetta Pedrocchi). Il 16 agosto 1826 Antonio Pedrocchi presenta alle autorità comunali il progetto per la costruzione di uno stabilimento, comprendente locali destinati alla torrefazione, alla preparazione del caffè, alla "conserva del ghiaccio" e alla mescita delle bevande. Prima di questo cantiere, Pedrocchi aveva incaricato un altro tecnico, Giuseppe Bisacco, di eseguire i lavori di demolizione dell'intero isolato e di costruire un edificio ma, insoddisfatto del risultato, aveva richiesto a Giuseppe Jappelli, ingegnere e architetto già di fama europea e esponente di spicco della borghesia cittadina che frequentava il caffè, di riprogettare il complesso dandogli un'impronta elegante e unica.
Nonostante le difficoltà determinate dal dover disegnare su una pianta irregolare e dal dover coordinare facciate spazialmente diverse, Jappelli fu in grado di progettare un edificio eclettico che trova la sua unità nell'impianto di stile neoclassico. L'illustre veneziano volle trasferire in architettura la sua visione laica e illuminista della società, creando quello che poi diverrà uno degli edifici-simbolo della città di Padova. Il piano terreno fu ultimato nel 1831, mentre nel 1839 venne realizzato il corpo aggiunto in stile neogotico denominato "Pedrocchino", destinato ad accogliere l'offelleria (pasticceria). In occasione del "IV Congresso degli scienziati italiani" (evento dal titolo significativo, visto che Padova si trovava ancora sotto la dominazione asburgica), nel 1842 si inaugurarono le sale del piano superiore che, secondo il gusto storicizzante dell'epoca, erano state decorate in stili diversi, creando un singolare percorso attraverso le civiltà dell'uomo. Per la loro realizzazione Jappelli si avvalse della collaborazione dell'ingegnere veronese Bartolomeo Franceschini e di numerosi decoratori, tra cui il romano Giuseppe Petrelli, al quale si deve la fusione delle balaustre delle terrazze con i grifi, i bellunesi Giovanni De Min, ideatore della sala greca, Ippolito Caffi della sala romana e Pietro Paoletti della sala pompeiana (o "ercolana"), il padovano Vincenzo Gazzotto, pittore dell'affresco dipinto sul soffitto della sala rinascimentale. Le sale del piano superiore erano destinate a incontri, convegni, feste e spettacoli e il loro utilizzo veniva concesso ad associazioni pubbliche e private che, a vario titolo, potevano organizzare eventi.
Antonio Pedrocchi si spense il 22 gennaio 1852. Animato dalla volontà di lasciare la gestione del suo caffè a una persona di fiducia, aveva adottato Domenico Cappellato, il figlio di un suo garzone, che alla morte del padre putativo si impegnò nel dare continuità all'impresa ricevuta in eredità, pur cedendo in gestione le varie sezioni dello stabilimento. Alla morte di Cappellato, avvenuta nel 1891, il caffè passa al Comune di Padova. In un testamento stilato alcuni mesi prima, Cappellato lasciava infatti lo stabilimento ai suoi concittadini: "Faccio obbligo solenne e imperituro al Comune di Padova di conservare in perpetuo, oltre la proprietà, l'uso dello Stabilimento come trovasi attualmente, cercando di promuovere e sviluppare tutti quei miglioramenti che verranno portati dal progresso dei tempi mettendolo al livello di questi e nulla tralasciando onde nel suo genere possa mantenere il primato in Italia".

Un inevitabile degrado dovuto alle difficoltà determinate dalla grande guerra caratterizzerà il caffè negli anni tra il 1915 e il 1924. In quest'ultima data hanno inizio i lavori di restauro del "Pedrocchino", che si protrarranno fino al 1927. Negli anni successivi va purtroppo dispersa gran parte degli arredi originari disegnati dallo stesso Jappelli, che verranno sostituiti via via nell'epoca fascista. 
Dopo la seconda guerra mondiale, con il progetto dell'architetto Angelo Pisani che si impone contro quello di Carlo Scarpa, mai preso in considerazione dall'amministrazione comunale, si avvia un nuovo restauro che ridefinisce i vani affacciati sul vicolo posteriore, trasforma lo stesso vicolo in una galleria coperta da vetrocemento e ricava alcuni negozi, un posto telefonico pubblico e una fontana in bronzo sventrando parte dell'Offelleria, del Ristoratore e demolendo la Sala del Biliardo. 
Nonostante le proteste di molti cittadini e le perplessità della Soprintendenza ai monumenti, viene sostituito lo storico bancone in marmo con banchi di foggia moderna, viene installata una fontana luminosa al neon e le carte geografiche della sala centrale, caratterizzate dalla rappresentazione rovesciata delle terre emerse (curiosamente il sud viene rappresentato in alto) vengono sostituite da specchi. 
Per buona parte degli anni ottanta e novanta il Pedrocchi rimane chiuso per difficoltà tra i titolari della gestione e il Comune; nel 1994 viene finalmente deciso il recupero dei locali e all'architetto Umberto Riva e ai collaboratori M. Macchietto, P. Bovini e M. Manfredi viene affidato il compito di rimediare ai danni provocati dal devastante restauro Pisani degli anni cinquanta e di riportare all'antico splendore i locali dello storico caffè. Dopo l'esecuzione del primo stralcio di lavori, il 22 dicembre 1998 il caffè viene restituito ai cittadini di Padova.

Architettura.

Il Caffè Pedrocchi si configura come un edificio di pianta approssimativamente triangolare, paragonata a un clavicembalo. La facciata principale si presenta con un alto basamento in bugnato liscio, guarda verso est e si sviluppa lungo la via VII Febbraio; su di essa si affacciano le tre sale principali del piano terra: la Sala Bianca, la Sala Rossa e la Sala Verde, così chiamate dal colore delle tappezzerie realizzate dopo l'Unità d'Italia nel 1866. 
La Sala Rossa è quella centrale, è la più grande e vede attualmente ripristinato il bancone scanalato di marmo così come progettato da Jappelli. 
La Sala Verde era per tradizione destinata a chi voleva accomodarsi e leggere i quotidiani senza obbligo di consumare. È stata pertanto ritrovo preferito degli studenti squattrinati e a Padova si fa risalire a questa consuetudine il modo di dire essere al verde
La Sala Bianca conserva in una parete il foro di un proiettile sparato nel 1848 dai soldati austro-ungarici contro gli studenti in rivolta contro la dominazione asburgica. Completa il piano terra la Sala Ottagona o della Borsa, destinata in origine alle contrattazioni commerciali. 
A sud il caffè termina con una loggia sostenuta da colonne doriche e affiancata dal corpo neo-gotico del cosiddetto "Pedrocchino". Due logge nello stesso stile si trovano dislocate sul lato nord, e davanti a queste si trovano quattro leoni in pietra scolpiti dal Petrelli, che imitano quelli in basalto che ornano la cordonata del Campidoglio a Roma. 
Tra le due logge del lato nord si trova una terrazza delimitata da colonne corinzieIl piano superiore o "piano nobile" è articolato in otto sale, ciascuna decorata con uno stile diverso: etrusca, greca, romana, rinascimentale, ercolana, napoleonica (o Sala Rossini, destinata alle feste), egizia, moresca. Vi sono inoltre il cosiddetto "stanzino barocco" e, nel corpo del Pedrocchino, la Sala medioevale. 
La chiave di lettura di questo apparato decorativo può essere quella romantica di rivisitazione nostalgica degli stili del passato. Non è esclusa però una chiave esoterica o massonica (Jappelli era un affiliato all'associazione). I simboli egizi precedono la decifrazione della scrittura geroglificada parte di Champollion e sono piuttosto un omaggio al grande esploratore padovano Giovanni Battista Belzoni, che aveva scoperto numerosi monumenti egizi e di cui Jappelli aveva conoscenza diretta. Presso il piano nobile dello Stabilimento si trova il Museo del Risorgimento e dell'età contemporanea, dove sono conservati tra gli altri i ritratti del fondatore Antonio Pedrocchi e del suo successore Domenico Cappellato Pedrocchi, entrambi opera di Achille Astolfi.

Gli studenti del 1848.

Oggi il Caffè Pedrocchi non è più un luogo frequentato da studenti, ma gli stessi studenti hanno avuto un ruolo importante nella storia del Caffè e della città stessa.  Studenti universitari che ebbero un loro spazio importante nella storia del Pedrocchi e soprattutto un ruolo da protagonisti nei moti indipendentisti del 1848. E ho recentemente appreso che da quei fatti, iniziò prendere piede tra gli studenti l'idea che frequentare il Pedrocchi prima della laurea fosse malaugurante. In quell'anno, il 1848, importante per la successiva indipendenza nazionale, gi studenti di Padova si ribellarono ai soldati austro-ungarici che in particolare l'8 febbraio (da cui il nome della via) risposero con il fuoco. Episodio questo forse non molto conosciuto e che dovrebbe essere raccontato e, perdonatemi se esagero, potrebbe fare da mito fondatore di un legame tra Università e città di cui spesso e volentieri si sente lamentare la mancanza o quantomeno una relazione un po' debole. Nella sala bianca c'è una targa ricordo di quell'avvenimento e si può vedere tuttora un foro di proiettile austro-ungarico sparato in quei giorni. Non a caso, il caffè Pedrocchi, a fianco del prestigioso piano nobile è sede del Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea 

La festa delle matricole.

Dal 1900 questa data fu scelta dalla goliardia padovana per la festa del cambio tribuno e ovviamente della commemorazione dei fatti dell'8 febbraio 1848. L'altra grande festa pubblica, la festa delle matricole (feriae matricolarum), avviene in novembre, festa in cui simbolicamente, ci si reca a "liberare" gli studenti delle scuole superiori dall'autorità scolastica. 8 febbraio tra l'altro è il nome della via che oggi chiamiamo comunemente "listòn", quella che passa davanti al palazzo del Bò (sede dell'Università) e Palazzo Moroni (municipio) e al Caffè Pedrocchi che all'epoca era luogo d'incontro anche per studenti e goliardi e considerato, a detta di Stendhal, il miglior Caffè d'Italia. A memoria dell'8 febbraio 1848 all'angolo tra via 8 febbraio e l'inizio di via Cesare Battisti, l'unica via in discesa di Padova, c'è una targa alla memoria.
Padova, infatti, è una delle città universitarie in cui la goliardia nonostante non mi pare stia passando un periodo molto florido (ma attendo smentite), è più presente con i suoi ordini, i suoi incontri e le feste pubbliche come appunto la festa delle matricole di oggi e quella di inizio anno accademico con la corsa dei mezzi strani e la tradizione dei papiri di laurea.
Quest'oggi in giro per la città si vedranno i goliardi, con il loro mantello e le loro feluche, magari con una bottiglia di vino in mano, la loro voglia di scherzare e la loro vena dissacratoria e sicuramente li si sentirà cantare qualche canto tra cui sicuramente quell'inno alla giovinezza e alla spensieratezza che è il "Gaudemus igitur". Sulle origini della goliardia ce ne sarebbe da dire. Leggendo da wikipedia-sapere "la goliardia è il tradizionale spirito che anima le comunità studentesche, soprattutto universitarie, in cui alla necessità dello studio si accompagnano il gusto della trasgressione, la ricerca dell'ironia, il piacere della compagnia e dell'avventura. I tratti connotativi del fenomeno sono comuni a più gruppi italiani, ma sono anche simili ad altre organizzazioni europee e statunitensi". Secondo lo storico francese Jacques Le Goffe le origini della goliardia risalgono al Medioevo quando "i goliardi erano dei clerici vagantes, degli intellettuali vagabondi (si può anche intuire dal "La bisbetica domata" di Shakespeare) che per le loro condizioni economiche e sociali venivano esclusi dalla carriera dei maestri delle università medioevali...Si davano quindi a una sorta di vagabondaggio intellettuale seguendo gli spostamenti del loro maestro preferito o recandosi dove insegnano professori famosi. L'esperienza di luoghi e uomini diversi ne fa quasi naturalmente degli spiriti liberi e la loro giovinezza li spinge a ricercare i piaceri ad essa associati. Di questa loro tendenza all'amore, al gioco e al vino ne rimane traccia nei loro componimenti poetici, nei Carmina Burana dove all'esaltazione dei piaceri carnali si associa la critica alla Chiesa medioevale fustigatrice dei costumi libertini (da wikipedia-virgilio sapere). 

A Padova, un fiore all'occhiello della goliardia è stata senz'altro la Polifonica Vitaliano Lenguazza (vedi foto a destra da PadovaNews), l'orchestra dei goliardi fondata nel 1959 , che ad ogni sua esibizione faceva il tutto esaurito e che, grazie alle canzoni dai testi boccacceschi, irriverenti e sfrontati, ebbe fama anche in tutto il resto d'Italia. Lo scorso anno anno quindi la Vitaliano Lenguazza ha celebrato i suoi 50 anni! Quest'oggi invece, alle 17,30, ad ingresso gratuito in aula Nievo del palazzo del Bò ci sarà la presentazione del libro "Vitaliano Lenguazza 1959-2009. I nostri primi cinquanta anni".


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